di Michele Frattulino
Chi d i noi , parlo degli ultra cinquantenni, non ricorda i versi della canzone: ” ‘Mo véne Natàle, ke sènza denàre, facìmece ‘u litte e ce jàme a kurcà” (or viene Natale, senza denari, prepariamoci il letto e andiamo a coricarci ) oppure le voci dei venditori, quali ” M’agghia mètte ‘o zìnne d’a stràde, agghia sènde addore d’ ‘i kartellàte “ (devo mettermi in fondo alla strada, devo sentire l’odore delle cartellate ) ,oppure “ ‘U kapetòne Lèsse ( il capitone di Lesina), cifele e kapetòne a na lìre ‘o kine ( cefali e capitoni a mille lire al chilo).
E’ storia vecchia; oggi si va al supermercato, e trovi ciò che più ti aggrada .
Le festività Natalizie, erano le più sentite, e nel loro contesto, le tradizioni a esse abbinate.
Basta immaginare, che per assaggiare dolci natalizi,classici foggiani, quali:cartellate, scaldatelli, calzoncelli, , pastarelle, taralli neri, mandorle atterrate e mustaccioli, (Kartellàte, skavetatille, kavezunğille, pastarèlle, taralle nìgre, mènele atterràte e mustacciule ) bisognava aspettare un anno intero.
Già dopo il 13 dicembre, Santa Lucia, Natàle ‘a tredecìne- (Tredici giorni a Natale ), nelle case s’akkumenzàve a mbastà o trembà - si cominciava a preparare gli impasti - da portare al forno.
In loco, venivano date le varie forme, affelaràte o arrengàte (messe in fila ) nd’e ramére (tegami a forma rettangolare, per intenderci, quelli per la pizza ), e dopo l’avvenuta cottura, ancora caldi, delicatamente riposti nd’ e kanìstre (cesti di vimini intrecciati) venivano riportati a casa e riposti sugli armadi - dico bene- sugli armadi, in modo da non poter essere mangiati prima della festa.
Oggi, queste leccornie, sono sostituite dal classico panettone, perché la maggioranza delle persone, nen vòle mbìcce p’a kàse (non vuole impicci per casa,o per meglio dire, preferisce comprarli).
Passiamo ora al presepe.
Per allestirne uno, dovevi lavorare di fantasia; La carta roccia, non esisteva, e la si ricavava, colorando la carta delle sacchette che contenevano il cemento.
Per i vari accessori, casette, ponti, pozzi ecc, dovevi procurarti il materiale necessario per costruirli, recandoti nelle falegnamerie e rovistando tra gli scarti della lavorazione, recuperando ciò che sarebbe potuto servire; infine con tanta tanta insistenza, chiedevi un po’ di colla fino a che il proprietario, esasperato, suo malgrado ci accontentava.
Per i chiodini, si ricorreva ‘o skarpàre ( il calzolaio).
Il difficile consisteva nel procurarsi le statuine, che costavano un’accidenti per quell’epoca (20 lire), ed erano di gesso, quindi molto fragili.
Si ricorreva allora ai nonni, agli zii, e qualche volta, anche ai genitori. L’interessante era iniziare l’allestimento, il giorno dell’Immacolata.
Oggi, ringraziando il Signore, un presepe si può acquistare già completo di tutto…. ma la fantasia, non viene più stimolata.
Arriviamo al giorno della Vigilia di Natale.
Provo a descriverla, anche se molto meglio di me, l’ha già fatto in versi, il compianto concittadino, poeta e commediografo dialettale “Raffaele Lepore“, nella poesia “ ‘A viğğìlije (“La Vigilia”).
Dal primo mattino, in ogni casa c’ è fermento, per preparare il cenone, ma prima di tutto, si friggono “ ‘i pèttele” , impasto di farina, acqua e lievito, offerte ad amici e parenti che si alternano nell’arco della giornata, che vengono a farti visita, per augurare il Buon Natale;
di solito si abbina alle pettole, un mandarino, per togliere il sapore del fritto, e l’immancabile liquore di limone fatto in casa.
I ragazzini, si accompagnano agli adulti,e tra un dolcetto e l’altro, recitano la poesia nella speranza di ricevere dai presenti, “ ‘a rialìje “ o “ ‘a ‘mbèrte “, che è la stessa cosa, cioè una piccola somma di danaro in regalo.
Tra una visita e l’altra, il tempo vola e si arriva alle ore 18 circa, quando ormai è tutto pronto per il cenone.
Ma sapete qual è il menu classico?
Passo ad elencarlo: Vrukkele de ràpe allèsse e kunzàte ke l’ugghie krùde (Broccoli di rape lesse e condite con olio crudo) , lenguìne k’u zùke d’anguìlle (linguine con il sugo d’anguilla ) o per variante, spakètte k’u tùnne (spaghetti con il tonno), bbakkalà frìtte o mbianghe (baccalà fritto e in bianco), kapetòne ‘o zùke, frìtte e arrestùte (capitone al sugo, fritto e arrostito).
Pausa per la letterina; (da non confondere con le veline, schedine ecc.)
Immaginate una famiglia numerosa come la mia e tante altre, che doveva sorbirsi la lettura di… dieci letterine e la declamazione di dieci poesie, in italiano e altrettante in inglese .
Ma è la regola e bisogna rispettarla, come bisogna elargire a tutti ‘a mbèrte.
Per digerire quest’abbuffata, di cibo e poesie, si passa all’acce (sedano) e finocchio.
Si prosegue k’a skurzìme (frutta secca) e con i dolci sopra citati.
Chiude il tutto, un bicchierino di liquore al limone- magari fosse solo uno !
Finito il cenone, i bambini,e qualche adulto, pretendono la tombolata (il bingo odierno) ma la difficoltà è quella di segnare i numeri sulle caselle, con tutto ciò che capita a tiro: bucce di mandarino, fagioli, briciole di pane ecc, che saltano via al minimo movimento della tovaglia, a causa di una involontaria gomitata, poiché lo spazio non è sufficiente per far giocare tutti.
E come diceva Modugno, “ è giunta mezzanotte ”, e quindi tutti in chiesa per ascoltare la Santa Messa, nella quale viene rievocata la nascita di Gesù Bambino.
Quello nel presepe di casa, solitamente nasce prima del cenone.
Terminata la funzione religiosa, tutti a casa per una ricca dormita - si fa per dire - ma dopo una giornata così stressante, abbinata a un tremendo mal di testa e di stomaco, concludo allo stesso modo in cui termina la poesia “ La vigilia “ : L’unica cosa necessaria è un buon bicchiere di bicarbonato.
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