Dopo la presentazione foggiana del libro “ZEMAN L’ULTIMO RIBELLE” dello scrittore romano
Ecco la risposta di Stefano Marsiglia, che insieme all'intervento di Lobanowsky 2 verrà pubblicata sul quotidiano L'ATTACCO di sabato 8 dicembre. Chiunque voglia intervenire nelle polemica, puramente teorica, può farlo postando un commento o inviando una mail a redazione@bengodi.org
Foggia è ostaggio dei suoi fantasmi, del suo passato mitizzato? Vive con lo sguardo rivolto all’indietro, abbagliato dal bel tempo che fu e per questo incapace di proiettarsi in avanti?
Non lo so, io vivo a Roma, non posso giudicare. Ma so che il passato calcistico di Foggia porta impresso a fuoco il marchio del profeta del calcio italiano.
Sì, il profeta. Uso questa parola volutamente, perché profeta è colui – lo dice la stessa etimologia della parola – che ha il dono di vedere molto al di là di dove arriva lo sguardo della massa.
Zeman ha visto al di là del senso comune sul campo, inventando un gioco rivoluzionario, tentando e spesso riuscendoci di ridurre l’arte del pallone, un’arte fatta di genio e talento, a pura matematica, accessibile ai più e non solo ai prediletti di madre natura. È necessario ricordare i 18 gol di Marco Delvecchio – il miglior attaccante italiano se si giocasse senza la porta – nel campionato 1998/99?
Ha visto tutto e gridato puntando il dito che il re forse non era nudo, ma pelato con gli occhiali e il cellulare sempre attaccato all’orecchio, e forte di una corte sconfinata e zelante muoveva il calcio italiano - vale a dire il più grande motore di passioni di un popolo intero – secondo trame losche e desideri torbidi e inquinati. Vogliamo rileggere le sentenze del processo ad Agricola o le intercettazioni di calciopoli?
Ha pagato per questo, pagato caro, rinunciato chissà quanto inconsapevolmente a onori e gloria e bigliettoni, epurato dal bel mondo dorato che un tempo era ai suoi piedi perché lì non c’è spazio per chi leva la mano e punta il dito anziché chinare la testa e continuare a camminare, mani ben ferme in saccoccia.
È un ‘vincente morale’, perché la storia ha dimostrato che ha sempre avuto ragione.
È un vincente sul campo perché ha riportato il Foggia in serie A dopo anni arrivando a sfiorare l’Europa, la Lazio al suo secondo miglior risultato di sempre, la Roma ai vertici del calcio italiano, ha salvato il Lecce ri-sfiorando una leggendaria qualificazione alle coppe europee. Ha fallito a Salerno, Istanbul, Avellino e Lecce? Anche Lippi e Capello hanno i loro fallimenti in bacheca, eppure nessuno osa mai di parlare di loro senza preventivamente pronunciare il fatidico ‘vincente’. Eppure loro allenavano Maldini e Baggio, Jugovic e Weah, quando fallirono. E Zeman non ha mai avuto in squadra gente come Batistuta o Savicevic, Zidane o Raùl.
Capello a Roma ha vinto uno scudetto, eppure se sotto il cupolone ci si guarda indietro – e succede anche ora – si rivedono sbuffi di fumo e si odono silenzi che gridano, non mascelle quadrate e urla sguaiate. Proprio come a Foggia, e forse anche come a Lecce.
Perché anche marchiare indelebilmente il passato è roba da grandi. Fissare in menti, occhi, cuori e cervelli momenti magici e goleade, smuovere stomaci e bagnare visi di lacrime amare a distanza di anni. Questo riesce solo ai più grandi. Riesce soprattutto a Zeman, appunto.
1 commento:
Io penso che Zeman non è visto di buon occhio dal calcio italiano, perché lui fa giocare le sua squadre per far divertire il pubblico pagante, senza l'estenuante ricerca di un risultato e se il calcio lo si cominci ad intendere come divertimento, forse cominceremo ad andare allo stadio senza paura di ultrà facironosi e cariche di polizie...
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