articolo di DON FAUSTO PARISI pubblicato su L'ATTACCO del 17 giugno.
Quando ero in America ho sempre trovato difficoltà a spiegare ai miei amici lo scarso patriottismo di noi italiani, lo scarso attaccamento alla bandiera tricolore e all’inno nazionale, quasi che in Italia l'idea di patria fosse un'astrazione davvero poco digerita. E loro semplicemente non capivano. E giù a rifare la strana storia d’Italia, con quei due superoi di Mazzini e Garibaldi, fuorilegge per tutti gli staterelli italiani dell’epoca, con quella strampalata e massonica idea di una unità basata sulla soppressione degli stati e una democrazia di là da venire, mentre tutti i reami d’Italia, compreso quello Borbonico, funzionavano alla grande e non sentivano affatto il bisogno di unità e di democrazia. Quanto era più bello e più legato alla nostra storia e alle nostre tradizioni se si fosse dato vita ad una federazione di stati alla maniera americana se non inglese, con tanto di autonomia locale, che oggi Bossi richiama a gran voce, ovviamente solo per la Padania. E giù a spiegare, senza troppo successo, a chi l'unità l'aveva raggiunta anche con le armi quando per la schiavitù qualcuno la stava mettendo in discussione, di come l’unità d'Italia più che voluta era stata imposta a caro prezzo specie al sud. E cose del genere. Ovviamente continuavano a non capire. Ma poi restavano strabiliati dal fatto che per le partite della nazionale di calcio (il loro soccer) l’Italia intera si imbandierava, faceva festa, faceva unità, si arriva persino a rispolverare un incredibile inno nazionale, fatto di sangue e di elmi di Scipio e di un’Italia che chiama alla guerra, come gli antichi romani, un mondo che solo i fascisti e malamente hanno fatto riecheggiare in una stagione funsta. Loro semplicemente non capivano.
Invece tornando in Italia si capisce questo strano entusiasmo, eccome. L’Italia del pallone è davvero un Italia unita. Non si capisce perché, non si capisce a che serve, ma di fatto lo è. Sono pochi, pochissimi quelli che non si inchiodano davanti al televisore per spasimare con uno squadrone, che vince a volte e mai convince. Poco importa se la stessa sorte tocca all'odiatissima Francia. Loro sono nell'immaginario collettivo sempre migliori. Ma forse la spiegazione è che questa nazionale ci appartiene davvero in tutti i sensi. E' nel suo piccolo un'immagine perfetta dell'Italia, reale. Geniale, sprecona, caparbia, orgogliosa, battagliera, perdente alla grande, vincente quando meno te l’aspetti. Noi siamo fatti così. E forse per questo gli americani, che pure ci snobbano, restano affascinati dall'Italian style. Ma per noi è di tanto in tanto festa nazionale, proprio nel senso che mette tutti insieme e tutti daccordo quelli che vivono su uno stesso territorio e con accenti diversi parlano la stessa lingua.
Ma non è solo questo. Ci scopriamo tutti professori e alla grande. Tutti saliamo in cattedra. Mille allenatori, mille arbitri, mille giornalisti che raccontano una loro personale partita. Davvero ascoltando i commenti io, che guardo solo con il cuore e la passione, mi pare di aver assistito ad un’altra partita. Non mi ero accorto di nulla, seguivo solo il lento scorrere dei minuti inesorabili verso la pesante sconfitta contro l’Olanda e l’immeritato pareggio contro la Romania. Non la tecnica, non gli schemi, niente. Solo il cuore che palpita. Anche persone solitamente razionali e controllate come il sottoscritto, si scaldano davanti alle palese ingiustizie che costantemente ci vengono inflitte. Ci si arrabbia, ci si alza dalla sedia. Ho consumato l’ultima volta una intera scatola di ritz saiwa, e scolato due o tre birre, per trovarmi alla fine della partita, depresso per un immeritato pareggio e con la pancia che mi doleva, per un cibo inusitato e una bevuta oltre il lecito.
Ma noi italiani siamo fatti così. Anche mia cognata, che solitamente vede la televisione solo per i film della sera, semmai presi a metà o verso la fine, mi chiede il giorno dopo: ma chi ha vinto? La guardo come i due discepoli di Emmaus che rimproverano il Signore, unico in Gerusalemme a non sapere cose vi era capitato qualche giorno prima.
Vai a spiegare tutte queste cose agli americani. Loro si scaldano per il Superball, che ogni anno inchioda quasi tutti i trecento milioni di americani al video. Non è ancora un fatto nazionale. E’ il privato che in America diventa nazionale, nel senso che tutti coinvolge. Solo raramente, forse per il Signor Presidente, e non dicono mai Bush, come facciamo noi, rispolverano l’unità federale. Dobbiamo crescere e anche in questo imitare l’America. Per ora questa voglia di far festa, anche se la nazionale perde non ce la leva nessuno. Buon per noi. Avanti così. Pare che godere dopo aver sofferto sia un'elisir di lunga vita.
Nessun commento:
Posta un commento